Al
quinto Natale in terra straniera, quella nostalgia che mi portavo dentro da
sempre era diventata un tormento che mi logorava fisicamente. Cercavo di
estraniarmi, ma non ci riuscivo; avevo perso l’appetito, di notte sognavo le
montagne, il paese imbiancato di neve, l’acqua dell’Astico, le brentane… mi
stavo ammalando di nostalgia.
A
farmi decidere avvennero alcuni fatti; il primo l’incontro con un amico che non
vedevo da tempo. Lo incontrai nel salone delle scommesse. Era seduto in un
angolo intento a compilare la scheda per le corse dei cavalli dell’indomani.
Nella
sala un’afa opprimente, il fumo stagnante a mezz’aria appena mosso dalle pale
del ventilatore. Il pavimento bagnato emanava un odore di birra rancida,
nauseabondo. Mi avvicinai per salutarlo, gli chiesi come stava, alzò lo
sguardo, aveva gli occhi sbiaditi, da allucinato, il sudore gli colava dalla
fronte: mi resi conto che era ubriaco.
Con
una voce da sfiduciato mi disse: “Se non vinco ai cavalli non ce la faccio più
a tornare in Italia.”
Mi
faceva pena era entrato in un vortice senza
scampo. Al sabato dilapidava i risparmi tentando la fortuna alle corse
dei cavalli ed annegava la nostalgia nell’alcool. Rimasi molto impressionato.
Tempo prima era un giovane robusto, allegro, pieno di vita, ora era sull’orlo
di un baratro, senza più la forza di reagire. La mattina dopo, un insolito
movimento di militari, tutti gli incroci presidiati, pochi frettolosi passanti,
nessuna macchina civile, solo veloci camionette della Guardia Nacional
percorrevano le strade con i militari in pieno assetto di guerra,armati di
tutto punto con elmetto e mitra.
Cosa
stava succedendo? Era scoppiata la rivoluzione contro la dittatura. Inutilmente
ascoltavo la radio per avere notizie. Passammo giorno in ansia, chiusi
all’interno dell’Hotel Italia.
Finalmente,
come era incominciato, tutto finì ed una relativa calma subentrò nel paese in
attesa del prossimo golpe, dato che ormai la stabilità politica era molto
precaria. Anche fra noi emigranti si diffondeva una certa inquietudine. Segnali
poco rassicuranti non lasciavano prevedere nulla di buono. Qualche tempo dopo,
passando davanti all’agenzia Italven, vidi esposta in vetrina la lista delle
navi in arrivo e in partenza per l’Italai. Tra cinque giorno la Vespucci
sarebbe arrivata a La Guaira. Tante volte avevo resistito a quel richiamo, ma
ora non ce la facevo più. Un fulmine a ciel sereno.
Entrai
e prenotai l’imbarco. Gli ultimi giorni mi sembrarono eterni, salutai
frettolosamente gli amici e in un pomeriggio afoso salii su uno di quegli
autobus multicolori che percorrendo la Panamericana, dall’interno portano alla
capitale Caracas. Viaggiai tutta la notte e di primo mattino arrivai a Caracas,
sbrigai le ultime pratiche per l’imbarco e scesi a La Guaira. Il porto distava
una ventina di chilometri.
Depositai
la valigia in dogana e cercai un hotel per mangiare qualcosa e passare la
notte: un ristorante Italia si trova sempre. Dopo cena mi coricai. Ero stanco,
avevo viaggiato tutta la notte in condizioni disagiate attraverso il Venezuela
per chilometri e chilometri. Mi svegliai verso le quattro, era ancora notte
fonda, ma non riuscivo più a dormire.
Aspettai
l’alba seduto su un gradino. Ascoltavo i rumori della notte; sentivo in
lontananza le sirene delle navi in movimento nel porto, provavo una certa
emozione. Quando uscii, un gran movimento di macchine e autobus in arrivo da
Caracas. Scaricavano passeggeri diretti al porto.
Mi
incamminai verso il ponte che collega la città alla stazione marittima.
Incontrai due italiani: uno stava male, l’altro, suo amico, cercava di
sostenerlo. Mi fermai per aiutarlo. Mi raccontò: era la seconda volta che
veniva per imbarcarsi, ma lo prendeva una crisi e doveva ricoverarsi in
ospedale. L’amico mi confidò che anni prima era arrivato assieme ad un
fratello, poi deceduto in un incidente. Ora non aveva più il coraggio di
ritornare in famiglia da solo e abbandonare il fratello in uno sperduto
cimitero Venezuelano. Non sapevo come aiutarlo, il tempo stringeva, cercai di
fargli coraggio, gli feci gli auguri e passai oltre.
La
bianca nave era attraccata alla banchina ed i primi passeggeri già arrivarono
attraverso il ponte. Erano persone allegre, chiacchieravano tra loro, felici di
essere arrivati in America. Mi sorprese il loro abbigliamento elegante:
sembravano figurini appena usciti da un salone di moda... seguirà la seconda parte
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