Gentilissima Donatella,
nell'allegare
copia della “leggenda” mi è gradito pensare che vi siano ancora persone come
Lei che si impegnano nella ricerca e diffusione di queste “storie” che sono le
radici della nostra civiltà. Rimango a sua disposizione e nell'augurare buon
lavoro la saluto cordialmente.
Giorgio Slaviero
A San Pietro Valdastico, nel conventino dell'ospizio,
viveva un santo frate che non si risparmiava in
preghiere e lavoro per il bene dei suoi pellegrini e di quanti
ricorressero a lui per aiuto e consigli. E c'era uno zoccolaio di Luserna che,
di ritorno dai suoi mercati, non trascurava mai di fermarsi per salutarlo e
lasciargli un'offerta a beneficio dei poveri.
Ora avvenne che una sera di fine autunno lo zoccolaio
raggiungesse il conventino più morto che vivo: incappato nei briganti della
valle, gli erano state peste le ossa e svuotate le tasche di tutti i suoi
guadagni racimolati con tanta fatica.
Il frate gli prestò subito le sue cure e, confortatolo,
gli promise una soluzione al suo grave problema. Gli fece bere un benefico
infuso d'erbe, lo aiutò a coricarsi e, auguratogli un buon riposo, scese in
coro a dir compieta.
Lo zoccolaio dormì profondamente tutta la notte,
svegliandosi all'alba ristorato nel corpo e nello spirito come non avrebbe mai
pensato. Chiesto del frate, lo trovò sul sagrato intento a guardare la montagna
in un preciso punto dietro il quale la luce del giorno, facendosi via via più
chiara, ritagliava nitidi contorni di cristallo.
Avvertita la sua presenza, il frate, senza voltarsi e come
inseguendo un pensiero che lo occupava fortemente, gli indicò quel punto
lontano che si stagliava a forma di masso squadrato ad arte, in bilico sul filo
di un impraticabile dirupo. Era l'Altarknotto che i cimbri dell'Altopiano dicevano
fosse servito da altare quando era usanza sacrificare agli dei.
Gli spiegò come in certi giorni dell'anno, che lui aveva
segnati e diligentemente controllati, compariva sopra quel masso un enorme
pipistrello che ventilava oro e argento come il contadino nel separare la pula
dal grano. E una volta che gli prese il dubbio sull'entità dell'apparizione,
salì nella cella campanaria a rintoccar l'«apostola».
Al primo rintocco vide che il pipistrello se ne volò via,
lasciando incustodito il suo tesoro. Allora fu convinto che si trattava proprio
del diavolo.
Ora cadeva giusto il giorno in cui, dopo il suono
dell'angelus, sarebbe riapparso puntualmente. Occorreva approfittarne quel
tanto che bastava per rifarsi del danno subìto.
Però guai ad eccedere!
Il diavolo, dotato di un fiuto finissimo, se ne sarebbe
accorto e chissà quali rappresaglie avrebbe escogitate.
Lo zoccolaio, che aveva compreso sin dall'inizio dove il
frate voleva arrivare, gli chiese come poteva regolarsi nello stabilire la
giusta misura che non superasse il valore effettivo del suo perduto guadagno.
E il frate gli spiegò che avrebbe dedotto facilmente dal
fatto che tutti gli oggetti eccedenti all'esatta scelta dovevano scottare come
brace.
Fatte queste premesse e stabilito un piano di azione che
non ammetteva incertezza né paura, lo zoccolaio salì la montagna dalla parte
dell'Altaburg, raggiungendo la cima che già a San Pietro si suonava l'angelus.
Si fermò un istante a guardare giù in fondo la valle e gli
parve di scorgere il frate che dalla cella campanaria gli agitava le braccia in
segno di saluto e di incoraggiamento.
Ripreso il cammino e raggiunto lo spiazzo superiore
dell'Altarknotto, si lasciò scivolare lungo una stretta burella che gli sarebbe
servita da nascondiglio e, accovacciato alla meglio, stette lì ad aspettare.
Non passò molto tempo che il profondo silenzio che regnava
assoluto sulla montagna fu rotto da un sordo sbatter d'ali che rimosse l'aria
in folate di vento. Era il diavolo che, come aveva assicurato il frate,
arrivava puntuale al suo impegno di lavoro.
Armeggiò alcun tempo a chissà quali ingegnose segrete,
estraendolo dalla base e riponendolo sulla cima del masso, un pesante forziere
traboccante d'oro e d'argento.
Fu a questo punto che dalla valle giunse un primo rintocco
di campana.
Il diavolo, sbuffando e scornandosi dalla rabbia, tentò
sulle prime di imbozzolarsi come un filugello, ma vista l'inutilità
dell'impresa cedette alla supremazia del suono e, spiegate le ali, spiccò il
volo verso l'Erio.
Ne approfittò lo zoccolaio che, salito sull'Altarknotto,
vi stette però inchiodato dalla meraviglia nel vedere un così ricco
assortimento di oggetti d'oro e d'argento lavorati a regola d'arte.
Lo assalì l'imbarazzo della scelta; ma intanto il numero
dei rintocchi stabiliti stava per scadere e il diavolo sicuramente sarebbe
ritornato.
Allora, presa una decisione d'emergenza, e cominciando
dagli oggetti di piccole dimensioni, scelse quello che più gli riusciva gradito
agli occhi. Ma arrivato ad impugnare un ostensorio, dalla raggiera intarsiata
di tormaline, sentì che scottava. Non ricordò o non volle badarci e, rimesso
anche quello nel sacco, se ne partì giusto il momento che la campana aveva
smesso di suonare.
Ma, imboccato il sentiero di ritorno, avvertì che lo
strano calore gli perdurava nella mano, lasciando una scia di bruciato e, a un
terzo di cammino, gli parve addirittura che un ulteriore calore gli venisse
soffiato da dietro le spalle.
Colto da spavento, riprese a correre e, quando arrivò al
conventino, era così sfatto e febbricitante che al frate non restò che
somministrargli il benefico infuso di arcangelica e suggerirgli una robusta
dormita fino all'indomani.
Però non fu il sonno della notte precedente. Il rimorso di
essersi lasciato tentare, la mancata promessa ai patti stabiliti, il dubbio che
la sua onestà fosse scaduta nell'opinione del frate e, infine, il timore di una
possibile persecuzione diavolina alimentarono sogni d'incubo. Si svegliò più
volte di soprassalto e il mattino, annunciato da un festoso scampanio, decise
di confessare tutto al santo frate.
Lo trovò nella sua cella più cordiale che mai e in vena di
scherzare sugli avvenimenti accaduti.
Consegnò allo zoccolaio tutto il denaro di cui era stato
derubato, spiegandogli che corrispondeva esattamente al valore degli oggetti
prelevati sull'Altarknotto, tranne l'ostensorio che era già stato restituito a
quelli di Rotzo che l'avevano acquistato per far le processioni contro i
diavoli della montagna.
E lo zoccolaio, fatta la sua offerta e ricevuta l'usuale
benedizione del santo frate che lo dispensava dagli eccessi di scrupolo,
ritornò consolato e contento al suo paese.
Oggi, a San Pietro Valdastico, pochi ricordano l'antica leggenda. Però tutti, anche i bambini, vi sapranno indicare il masso precipite sul dirupato vallone, chiamandolo ancora col suo nome antico: «Tèûfelstein», la pietra del diavolo.
Grazie a Nicolò per la digitalizzazione del documento
Ma che bella legenda...mai sentita raccontare...ora la stampo e la leggo di sera alla mia ragazza! Grazie a voi!
RispondiEliminaSimpatica leggenda, ma mi piacerebbe conoscerne l'origine ,non avendola mai sentita.
RispondiEliminaTeufelstein è del tutto improbabile come cimbro, essendo pretto tedesco. In cimbro sarebbe Tòibelstoan.
Ciao Koskri
RispondiEliminaPer maggiori informazioni devi chiedere a Giorgio Slaviero,che ti può mettere in contatto con la scrittrice...un abbraccio gino