25 maggio 2013

La leggenda dell' Altar Knotto la Pietra del Diavolo


Gentilissima Donatella,
  nell'allegare copia della “leggenda” mi è gradito pensare che vi siano ancora persone come Lei che si impegnano nella ricerca e diffusione di queste “storie” che sono le radici della nostra civiltà. Rimango a sua disposizione e nell'augurare buon lavoro la saluto cordialmente.

Giorgio Slaviero


A San Pietro Valdastico, nel conventino dell'ospizio, viveva un santo frate che non si risparmiava in  preghiere e lavoro per il bene dei suoi pellegrini e di quanti ricorressero a lui per aiuto e consigli. E c'era uno zoccolaio di Luserna che, di ritorno dai suoi mercati, non trascurava mai di fermarsi per salutarlo e lasciargli un'offerta a beneficio dei poveri.
Ora avvenne che una sera di fine autunno lo zoccolaio raggiungesse il conventino più morto che vivo: incappato nei briganti della valle, gli erano state peste le ossa e svuotate le tasche di tutti i suoi guadagni racimolati con tanta fatica.
Il frate gli prestò subito le sue cure e, confortatolo, gli promise una soluzione al suo grave problema. Gli fece bere un benefico infuso d'erbe, lo aiutò a coricarsi e, auguratogli un buon riposo, scese in coro a dir compieta.
Lo zoccolaio dormì profondamente tutta la notte, svegliandosi all'alba ristorato nel corpo e nello spirito come non avrebbe mai pensato. Chiesto del frate, lo trovò sul sagrato intento a guardare la montagna in un preciso punto dietro il quale la luce del giorno, facendosi via via più chiara, ritagliava nitidi contorni di cristallo.
Avvertita la sua presenza, il frate, senza voltarsi e come inseguendo un pensiero che lo occupava fortemente, gli indicò quel punto lontano che si stagliava a forma di masso squadrato ad arte, in bilico sul filo di un impraticabile dirupo. Era l'Altarknotto che i cimbri dell'Altopiano dicevano fosse servito da altare quando era usanza sacrificare agli dei.
Gli spiegò come in certi giorni dell'anno, che lui aveva segnati e diligentemente controllati, compariva sopra quel masso un enorme pipistrello che ventilava oro e argento come il contadino nel separare la pula dal grano. E una volta che gli prese il dubbio sull'entità dell'apparizione, salì nella cella campanaria a rintoccar l'«apostola».
Al primo rintocco vide che il pipistrello se ne volò via, lasciando incustodito il suo tesoro. Allora fu convinto che si trattava proprio del diavolo.
Ora cadeva giusto il giorno in cui, dopo il suono dell'angelus, sarebbe riapparso puntualmente. Occorreva approfittarne quel tanto che bastava per rifarsi del danno subìto.
Però guai ad eccedere!
Il diavolo, dotato di un fiuto finissimo, se ne sarebbe accorto e chissà quali rappresaglie avrebbe escogitate.
Lo zoccolaio, che aveva compreso sin dall'inizio dove il frate voleva arrivare, gli chiese come poteva regolarsi nello stabilire la giusta misura che non superasse il valore effettivo del suo perduto guadagno.
E il frate gli spiegò che avrebbe dedotto facilmente dal fatto che tutti gli oggetti eccedenti all'esatta scelta dovevano scottare come brace.
Fatte queste premesse e stabilito un piano di azione che non ammetteva incertezza né paura, lo zoccolaio salì la montagna dalla parte dell'Altaburg, raggiungendo la cima che già a San Pietro si suonava l'angelus.
Si fermò un istante a guardare giù in fondo la valle e gli parve di scorgere il frate che dalla cella campanaria gli agitava le braccia in segno di saluto e di incoraggiamento.
Ripreso il cammino e raggiunto lo spiazzo superiore dell'Altarknotto, si lasciò scivolare lungo una stretta burella che gli sarebbe servita da nascondiglio e, accovacciato alla meglio, stette lì ad aspettare.
Non passò molto tempo che il profondo silenzio che regnava assoluto sulla montagna fu rotto da un sordo sbatter d'ali che rimosse l'aria in folate di vento. Era il diavolo che, come aveva assicurato il frate, arrivava puntuale al suo impegno di lavoro.
Armeggiò alcun tempo a chissà quali ingegnose segrete, estraendolo dalla base e riponendolo sulla cima del masso, un pesante forziere traboccante d'oro e d'argento.
Fu a questo punto che dalla valle giunse un primo rintocco di campana.
Il diavolo, sbuffando e scornandosi dalla rabbia, tentò sulle prime di imbozzolarsi come un filugello, ma vista l'inutilità dell'impresa cedette alla supremazia del suono e, spiegate le ali, spiccò il volo verso l'Erio.
Ne approfittò lo zoccolaio che, salito sull'Altarknotto, vi stette però inchiodato dalla meraviglia nel vedere un così ricco assortimento di oggetti d'oro e d'argento lavorati a regola d'arte.
Lo assalì l'imbarazzo della scelta; ma intanto il numero dei rintocchi stabiliti stava per scadere e il diavolo sicuramente sarebbe ritornato.
Allora, presa una decisione d'emergenza, e cominciando dagli oggetti di piccole dimensioni, scelse quello che più gli riusciva gradito agli occhi. Ma arrivato ad impugnare un ostensorio, dalla raggiera intarsiata di tormaline, sentì che scottava. Non ricordò o non volle badarci e, rimesso anche quello nel sacco, se ne partì giusto il momento che la campana aveva smesso di suonare.
Ma, imboccato il sentiero di ritorno, avvertì che lo strano calore gli perdurava nella mano, lasciando una scia di bruciato e, a un terzo di cammino, gli parve addirittura che un ulteriore calore gli venisse soffiato da dietro le spalle.
Colto da spavento, riprese a correre e, quando arrivò al conventino, era così sfatto e febbricitante che al frate non restò che somministrargli il benefico infuso di arcangelica e suggerirgli una robusta dormita fino all'indomani.
Però non fu il sonno della notte precedente. Il rimorso di essersi lasciato tentare, la mancata promessa ai patti stabiliti, il dubbio che la sua onestà fosse scaduta nell'opinione del frate e, infine, il timore di una possibile persecuzione diavolina alimentarono sogni d'incubo. Si svegliò più volte di soprassalto e il mattino, annunciato da un festoso scampanio, decise di confessare tutto al santo frate.
Lo trovò nella sua cella più cordiale che mai e in vena di scherzare sugli avvenimenti accaduti.
A quel che dicono era un frate che amava burlarsi dei diavoli.
Consegnò allo zoccolaio tutto il denaro di cui era stato derubato, spiegandogli che corrispondeva esattamente al valore degli oggetti prelevati sull'Altarknotto, tranne l'ostensorio che era già stato restituito a quelli di Rotzo che l'avevano acquistato per far le processioni contro i diavoli della montagna.
E lo zoccolaio, fatta la sua offerta e ricevuta l'usuale benedizione del santo frate che lo dispensava dagli eccessi di scrupolo, ritornò consolato e contento al suo paese.





Oggi, a San Pietro Valdastico, pochi ricordano l'antica leggenda. Però tutti, anche i bambini, vi sapranno indicare il masso precipite sul dirupato vallone, chiamandolo ancora col suo nome antico: «Tèûfelstein», la pietra del diavolo. 




Grazie a Nicolò per la digitalizzazione del documento

3 commenti:

  1. Ma che bella legenda...mai sentita raccontare...ora la stampo e la leggo di sera alla mia ragazza! Grazie a voi!

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  2. Simpatica leggenda, ma mi piacerebbe conoscerne l'origine ,non avendola mai sentita.
    Teufelstein è del tutto improbabile come cimbro, essendo pretto tedesco. In cimbro sarebbe Tòibelstoan.

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  3. Ciao Koskri
    Per maggiori informazioni devi chiedere a Giorgio Slaviero,che ti può mettere in contatto con la scrittrice...un abbraccio gino

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