La pubblicazione di tale racconto, gentilmente
concessa dall’Ente, è per noi anche occasione per illustrare brevemente due
curiose testimonianze della presenza di una fiorente attività di carbonai nella
nostra valle, fenomeno che contribuì notevolmente al sostentamento e allo
sviluppo della comunità.
Un primo tuffo
nel passato ci porta nella seconda metà del 17° secolo, a quella che fu la felice
scoperta della sorgente dell'acquedotto che ancora oggi alimenta la malga di
Camporosà. Stando alla ricostruzione storica, l'Abate Agostino Dal Pozzo,
erudito studioso dei luoghi e delle nostre popolazioni, invitò l’allora
proprietario Comune di Rotzo alla posa di una targa, in località "ABI",
con la scritta "Un carbonaio che a Solagna nacque tese l'orecchio e
scoprì quest'acque". A riprova della presenza dell’attività nelle
nostre zone. Tale luogo è ancor oggi facilmente identificabile, essendo qui presenti
le vasche di presa ed accumulo di acqua potabile ad uso dei pascoli e della
malga.
La seconda testimonianza ci viene da un toponimo indicativo
della zona di origine di alcuni carbonai. Il piccolo borgo che si trova lungo
la strada che da San Pietro Valdastico conduce a Rotzo, attualmente inglobato
in Contra’ Costa, viene chiamato "Furlani"
in ricordo dei carbonai che abitavano in quella che al tempo era l’unica casa
del posto. Questi lavoratori provenivano, infatti, dal Friuli Venezia Giulia (da
cui l’appellativo “Furlani”) e la
loro presenza come carbonai lasciò decine di segni ancora visibili sui nostri
monti, fino al limitare del "Bosco Nero" (area, quest’ultima,
riservata invece al lavoro dei boscaioli).
Giorgio Slaviero
Analizzando il fenomeno
migratorio della Valbrenta, ci si rende conto
che questo territorio non ha vissuto solo
l’esodo verso il Sud America alla fine del 1800, o verso la Francia, il Belgio,
la Svizzera, negli anni dal 920 al 1960. Un’altra attività, quella della
produzione del carbone di legna, ha portato i valligiani in paesi lontani in
cerca di lavoro.
Il far carbone, per gli abitanti
di San Nazario, Valstagna, Solagna, Romano ’Ezzelino, era un’arte antica,
acquisita lungo secoli di esperienza nel disboscamento della montagna per
ricavare prati e pascoli, colture più redditizie del bosco. Lunghe e
documentate, per esempio, sono state, nei secoli scorsi, le contese tra i
boscaioli di San Nazario, di Solagna e di Pove, che si contendevano il diritto
di far carbone; qualche volta, anche i Comuni concedevano ad estranei alcuni
boschi per tagliare la legna e farvi carbone, e ciò per far fronte alle sempre
crescenti spese comunali e alle necessità delle loro popolazioni. Due sono
stati i periodi che hanno caratterizzato questo lavoro. Il primo va dal 1890 al
1914 e l’emigrazione, che solitamente durava diversi anni, era diretta verso i
territori dell’Impero Austro-Ungarico. Così divennero familiari regioni come la
Carinzia, la Stiria, la Slovenia, ma anche la Bosnia e la Carniola. Questa
emigrazione terminò improvvisamente con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Successivamente l’attività dei
carbonai ha ripreso nuovo vigore: tra il 1920 e il 1944 con destinazione
Slovenia e Croazia, e verso gli Appennini dal 1920 al 1950, sviluppandosi in
quest’ultimo caso stagionalmente. L’attività dei carbonai finì a metà del
secolo scorso, quando si aprì una più redditizia emigrazione verso la Francia o
la Svizzera, ed il carbone non fu più richiesto, soppiantato dal petrolio.
Recentemente è stata presentata a
San Nazario una bella mostra che ha ripercorso, attraverso immagini inedite e
didascalie, la difficile attività dei carbonai. Con l’occasione sono state
raccolte alcune testimonianze che hanno messo in luce le caratteristiche di
questo lavoro e le difficili condizioni in cui era praticato.
Presentiamo i ricordi di Bruna e
Silvana De Rossi la cui la cui famiglia ha svolto questa attività nell’arco di
oltre mezzo secolo. La famiglia De Rossi,
una vita nei boschi a far carbone Bruna De Rossi ha vissuto il primi
sedici anni della sua vita nei boschi a far carbone. Parla del “poiato”, della
baracca, della vita in montagna con un po’ di nostalgia, quasi che non si fosse
trattato di fatica, di vita difficile, grama, ma erano gli anni della sua
infanzia, quando le stagioni si rincorrevano uguali e serene, in seno alla
numerosa famiglia, eppure stagioni sempre diverse, a mano a mano che lo
scorrere dei giorni aumentava la consapevolezza di un futuro sempre più incerto.
Bruna afferma sincera: «Mi è sempre piaciuto lavorare nel bosco, con i
genitori, con le sorelle, il fratello. Ancora oggi rifarei tutto come allora». «Noi
abbiamo sempre fatto i carbonai – racconta. Io sono nata a Bedonia nel 1937 e
fino al 1953 ho sempre fatto la spola tra San Nazario e Masanti, una frazione
di Bedonia in provincia di Parma. I miei genitori però vi si recavano con le
rispettive famiglie fin dai primi anni del dopoguerra, circa dal 1923. Il papà
e la mamma si sono conosciuti in una località sopra Illica di Bedonia, alla
festa di Santa Giustina, si sposarono a Bedonia nel 1926 e andarono ad abitare
in una piccola baracca costruita per loro. Il letto era fatto di foglie. Da
allora la loro vita si è sviluppata tra il nostro paese, San Nazario, e
Bedonia, con le sue contrade, che divenne la seconda patria: dei sei figli,
quattro sono nati a San Nazario e due a Bedonia». Il papà Enrico De Rossi era
originario da Montebelluna in provincia di Treviso, ed è nato nel 1901 a
Busavaija, una località montana dell’Austria, dove già lavoravano a far carbone
anche altre famiglie di San Nazario, i Gheno, gli Scotton, i Ceccon. Anche la moglie Emma Scotton della famiglia
“Mocolon” è nata nel 1907, da un’antica famiglia di carbonai, in Austria, nella
Stiria, una regione montana a Est di Graz.
Fine prima parte…..
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