24 settembre 2012

Momenti di Natura di Giuseppe Gnata: Il Cedrone

Dopo la prima esperienza, l'osservazione del cedrone all'interno del suo spazio vitale, cioè quando "non" canta nell'arena e "non" è distratto dalla conquista delle femmine, si è ripetuta nel tempo. Sono andato ancora a cercare incontri ravvicinati con sua maestà, sia d'estate che in autunno, però sempre nella "quotidianità" della sua vita nel bosco, luogo dov'è padrone indiscusso e gli unici incontri con l'uomo si riducono ad un rumoroso sbattere d'ali che spaventa il malcapitato intruso. In questo modo sono riuscito a "carpire" molti dei suoi segreti e vivere con gioia ed emozione "qualche ora" della mia vita "assieme" a lui.
lo ero là nascosto e lo osservavo mentre razzolava e mangiava i lamponi...
Non era a più di un metro di distanza da me e rimase lì quasi un'ora. lo, immobile dentro il capanno, tentavo invano di non emettere nessun rumore, ma lui sospettosamente girava di scatto la testa verso di me; ero sicuro: sentiva il mio respiro, così mi mettevo la mano sulla bocca per non spaventarlo. Ho osservato la sua attenzione al rapido passaggio dei caprioli o al rumore della ghiandaia che durante il pascolo tra le foglie secche, sembra
quasi una persona che cammina in bosco. Il cedrone ascoltava ma non si allarmava di tali suoni,
poiché nella sua memoria sono "registrati" tutti i "rumori amici" e conosciuti del bosco ero immobile
e nella stessa posizione da molto tempo, tanto da non sentire più le gambe. Per un istante mi sono "mosso" per riattivare la circolazione, ovviamente con tutte le precauzioni del caso, tuttavia "lo scarpone traditore" strusciò contro l'altro "emettendo" un debolissimo stropiccio che "nessuno" avrebbe sentito, "ma lui" di scatto fuggì. Ritornai più volte in "quel" bosco da fiaba, pieno di misteri, colori e profumi, fo­tografando uccelletti, scoiattoli e caprioli, in un silen­zio armonioso. Certe volte si percepiva addirittura il "tenero fragore" delle foglie secche quando cadono. Ecco, in quelle irreali atmosfere, lo scatto, la ricarica automatica, il cambio di rullino ed altri piccoli rumori di routine, come lo sfregare dello scarpone all'interno del capanno, ai timpani sensibili dei padroni del bosco sembrano una vera e propria banda in pieno concerto. A dir la verità, dopo ore e ore di silenzio, danno fasti­dio pure a me. Sua "Maestà", il cedrone, ritornò più volte in quella pozzanghera nei pressi del capanno, ma solo dopo tre volte riuscii a carpire una prima foto. Click! Subito ar­ricciò le piume del collo. Si girò di scatto verso di me, ma con sorpresa non fuggì. Si rimise a bere dopo dieci interminabili secondi. Click! Riscattai una se­conda foto e lui tornò a bere quietamente. Dopo quasi mezz'ora se ne andò tranquillo, mentre io recuperai il mio cuore, che nel frattempo era salito in gola, uscito dalle tempie e spiaccicato nel soffitto del capanno. Sua "Maestà" aveva accettato il rumore della macchinetta; sicuro di non essere in pericolo, memorizzò quell'in­solito "rumore del bosco". Non mi sembrava vero. Impiegai anni per capire quando veniva e perché proprio in quel posto. Adesso per ogni due volte che provo ad incontrarlo, una arri­va sempre. Giunge talmente vicino al capanno che con l'obbiettivo riesco a fotografare solo la testa e piccole parti del corpo, come petto, ala, zampe, coda. Un giorno, mentre gli scatta­vo una delle numerose foto, improvvisamente mi accorsi di qualcosa. Dentro di me pensai:
"Ma cosa è stato? Ho visto cadere un 'ombra! Un 'altra ancora! È proprio caduta una cosa da sotto la coda!". Lo so, non ci crederete, ma vidi cadere gli escrementi! Quell'anno non pioveva da più di un mese e la vita nella piccola pozzanghera era frenetica: tutti avevano bisogno d'acqua. In quei giorni sua "Maestà" veniva molto spesso, gli scoiattoli addirittura lo infastidivano, allora lui arricciava le piume del collo e raschiando le ali per terra cercava di beccarli, allontanandoli dal prezioso sito.
È stato riguardando le foto, soprattutto quelle della sola testa in primo piano, che mi accorsi che la "caruncola" rossa attorno all'oc­chio non era uguale per tutti. Mi balzò in mente la dottoressa Dian Fossey, ricercatrice che viveva assieme ai gorilla di montagna, "uccisa dai bracconieri perché difendeva i suoi amici gorilla". Lei aveva capito come riconoscere individualmente i vari membri del gruppo: le pieghe della pelle del viso erano la "chiave di volta". Ogni gorilla aveva le sue caratteristiche rughe, che lei accu­ratamente disegnava in un block-notes per riconoscerli senza sbagliarsi. Imitando la Fossey, osservai la diversità tra le caruncole e capii che i cedroni che si accostavano alla pozzanghera erano tre. Il più giovane l'ho fotografato per diversi anni, cambiava il becco, la mascella, le lunghe piume della gola, le dimensioni del corpo e della coda e molti altri piccoli particolari, ma la caruncola dell' occhio era sempre quella: le foto lo dimostrano.
Il giovane cedrone, cresciuto e diventato un "bel galo" adulto,    aveva instaurato con me un "muto" rapporto di fiducia. Era lui che un giorno su due arrivava in quella piccola pozzanghera. Avevo capito come riuscire ad incontrarlo attraverso il suo comportamen­to scandito da minuziosi ritmi quotidiani. Lui veniva a bere tranquillo, io scattavo le mie foto, lui controllava tutto con i suoi occhi un po' burberi, per poi andarsene con un passo felpato lasciando sempre due tre "ricordini". Da lì andava sempre a risistemarsi le piume in una piccola ceppaia a pochi metri dal capanno. Rimaneva in quel posto anche per alcune ore, poi nel più assoluto silenzio, quando riguardavo fuori, lui era sparito. Quella piccola ceppaia era ormai marcescente, così pensai di affiancarne una di nuova. Cercai nei paraggi e ne trovai una di abbastanza bella. Ci misi un mattino intero per trascinarla su dal bosco, e spesi un'altra oretta per postarla dove avevo deciso: ne valse la pena.
L'autunno successivo sua "Maestà" ritornò ancora a bere e a "scaricarsi" nella pozzanghera, e con tutta la sua eleganza si avviava verso la ceppaia. Sfortunatamente lui preferiva ancora quella vecchia. Si scuoteva le piume passandole ad una ad una col becco. lo lo guardavo da dentro l'obbiettivo e scattavo foto. Vedevo la mia ceppa­ia vuota a trenta centimetri di distan­za, quando la mia vocina mi disse:
"Parlagli!". lo col pensiero guardan­dolo fisso gli dissi: "Dai Bocia, per­ché non vai sulla mia ceppaia?". Lui si girò di scatto, incrociò i miei occhi e, senza mai staccare lo sguardo, fece quei pochi passi e salì sulla mia nuo-
I va ceppaia. Sarà stata suggestione, l,' immaginazione, vaneggiamento, tutto
quello che volete, ma è successo pro-
 prio così!
Nel mio animo scoppiò un tumulto. "L'interesse per fotografare, raccon-
tare, mostrare è passato in secondo piano dopo questa indescrivibile emozione vissuta in foresta. Non mi attirano più neanche le ambizioni
. dell'operare umano: la tecnologia, il progresso, gli orizzonti del futuro. No! Tutto diventa insignificante se vi­vrò ancora altri momenti incredibili e pieni di emozioni come questi. Ora mi sento appagato!".




























1 commento:

  1. Essendo una appassionata di foto e di montagna
    guardo sempre le sue, con profondo interesse, ma
    sopratutto mi sono sempre chiesta quanto amore per i suoi "soggetti" deve avere per sopportare
    tanti disagi e pazienza.
    Oggi senza volerlo mi ha risposto.
    Veramente tanti complimenti e.. un pò di invidia.

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